L’11 maggio del Fedic: cinema, arte, lavoro e ancora cinema.
Mercoledì undici maggio. Ecco che, alle nove del mattino, riparte il Valdarno Cinema Fedic, con la vetrina che mette in mostra film diretti da registi provenienti da tutto lo Stivale. Il pubblico non è numeroso, ma attento: coloro che prendono parte ad un simile evento sono, al solito, persone che amano il cinema in una maniera quasi viscerale. Dà una certa soddisfazione, ed è un piccolo motivo d’orgoglio, per un giovane spettatore come me, sapere che esiste una manifestazione cinematografica in cui vengono accolte tutte le suggestioni dell’audiovisione; dove registi, attori, esperti, vengono chiamati a presenziare. E molti di questi lo fanno pure volentieri.
Però, purtroppo, una delle presenze importanti di ieri sera, il regista Antonio Capuano, che doveva essere qui per ritirare il Premio Fedic per il suo L’amore buio, non ha potuto raggiungere San Giovanni per motivi di salute. Il suo film è stato proiettato lo stesso, e per quanto mi riguarda è stata l’occasione di recuperare un film che non avevo visto l’anno passato e che avrei voluto vedere. Ho apprezzato molto il film di Capuano: coinvolgente, per niente retorico, suggestivo sia a livello emotivo che stilistico. Assai rilevante, anche perché rappresenta l’ultima apparizione nelle vesti di attori del compianto Corso Salani, a cui il festival valdarnese ha dedicato una proiezione nel tardo pomeriggio, nello spazio “Non è un paese per lavoratori”. Si tratta della docufiction I casi della vita, sul tema dell’attuale mondo del lavoro, uno degli argomenti cardine di questa ventinovesima edizione del festival. L’affetto di Corso nei confronti di questo ambiente è stata sottolineato dalla presenza in sala del fratello Folco e dalla commozione del direttore artistico Francesco Calogero nel parlare dell’attore – regista.
È sempre sul tema lavorativo che si muove il recupero di pellicole Fedic del 1961, tutte girate in 16 mm e riprodotti ora su DVD (spazio “Splendidi Cinquantenni”; a dimostrazione di come questo evento sulla Settima Arte sia vicino al presente e al futuro, quanto al passato. Non è poi un caso che il primo lungometraggio proiettato ieri riguardasse sempre il lavoro, ritornando al giorno d’oggi: Il ritorno di Ulisse di Pietro Loprieno, come ha anche affermato il regista dopo la visione del suo film e dei vari corti e documentari, vuole riguardare sia la fuga dei cervelli, lo sporco mondo del lavoro italiano e un gusto dell’indignazione che sta scemando col tempo. Il film ha come soggetto un ragazzo che rientra a Bari dopo tre anni passati in California, e oltre agli amici, le donne, i familiari, ritrova anche un sistema che lui negli Stati Uniti non aveva incontrato, ossia quello delle raccomandazioni, delle piccole e grandi mafie che oramai hanno le mani più o meno ovunque.
Oltre al lungometraggio di Loprieno, da segnalare sono senz’altro i corti Saturno di Benni Piazza, storia di un uomo solo e ossessionato dalla morte, che passa la vita a calcolarne la data per mezzo di un algoritmo, e Storia di nessuno di Manfredi Lucibello. Quest’ultimo mi ha preso sin dal titolo, poiché è lo stesso di un “Dylan Dog” (non a caso Tiziano Sclavi figura tra i ringraziamenti): il film riguarda un serial killer, una persona che tra l’essere e l’apparire ha scelto lo sparire. La sua professione lo porta ad isolarsi totalmente e a diventare, appunto, nessuno. Entrambi i film sono molto ben realizzati, secondo me, dal punto di vista registico e recitativo, con un’ottima fotografia e atmosfere non poco intriganti. Menzione d’onore anche per il divertente Coccodì coccodà di Nedo Zanotti, breve frammento animato basato su una canzone che viene cantata e ricantata in lingue molteplici.
Anche i documentari hanno riservato sorprese, a partire dal Richiamo del Klondike di Paola Rosà e Antonio Senter, che attraverso il vissuto dei fratelli Boldrini ripercorrono la storia del mestiere del cercatore d’oro, soffermandosi anche sul presente, nelle terre di Jack London. Water In The Desert di Simone Chiesa ha avuto su di me un effetto quantomeno surreale, poiché il protagonista del documentario porta nel deserto marocchino una mostra di fotografia sul tema dell’acqua, basandosi su un effetto sorpresa, perché lo spettatore non è al corrente di cosa stia trasportando con sé questa persona da Malpensa al Marocco.
Ma il mio preferito è rimasto senza dubbio quello di Gaia Bonsignore, Live Your Cinema!, riguardante l’Austin Media Arts, una sorta di “Cahiers du Cinema” in salsa texana. Tra gli intervistati, il grande regista Richard Linklater, che mostra un vero e proprio amore per il cinema e parla anche della difficoltà che si riscontrava, fino a non troppo tempo fa, nel recuperare certi film d’autore. Avrei voluto che durasse molto più di quattordici minuti.
Della serie “lavori improbabili”: Il domatore di serpenti, girato da Giorgio Ricci, regista che ha detto, nel dibattito, di aver già girato film su professioni particolari (tra cui quella su un costruttore di campane). Il documentario è un breve resoconto della stravagante professione e una manifestazione d’affetto verso la vita circense da parte di questo domatore di rettili.
Ramadan di Rolf Mandolesi è invece una piccola testimonianza di questo rito musulmano, rispettato da gran parte dei fedeli islamici. Il regista si sofferma però anche sul lavoro manuale di queste persone, fornendo in pochi minuti un quadro esauriente ed interessante.
Ma al Masaccio, in questi giorni, non c’è soltanto il Cinema: all’inizio della serata, prima della pellicola di Capuano, l’attrice e regista Karin Proia, direttamente da Boris, salutata dai flash e dai microfoni delle emittenti locali, ha presentato una sua mostra di pittura, come l’anno scorso aveva fatto il poliedrico Francesco Salvi. Se l’anno scorso il mio rimpianto fu quello di non esser riuscito a portare a termine una intervista sensata al celebre comico, quest’anno è stata la mancata conoscenza della bellissima Karin. La vergogna ha, ahimé, avuto la meglio.
Oltre ai suoi quadri, l’attrice – pittrice ha presentato, non prima d’aver risposto a molte domande, anche due brevi corti nati da una sua idea, che in maniera assai simpatica rileggevano due principi fondamentali della Costituzione italiana. Due esperimenti interessanti, soprattutto perché girati con una webcam. Dopo la proiezione dell”Amore Buio, le luci si sono riaccese in sala. L’assenza del regista si è fatta sentire e la serata si è conclusa lì, poco la mezzanotte inoltrata.
Il tutto riprenderà stamani con il “Fedic Scuola” e la riproposizione della rassegna “Splendidi Cinquantenni”. Sarà poi la volta di lungometraggi, documentari, corti, ecc, ecc…
A domani e buon cinema a tutti.
a cura di Marco Renzi
a cura di Pierfrancesco Bigazzi e Lorenzo Donnini