La seconda giornata ufficiale del Valdarno Cinema Fedic comincia per me con una grande nota di rammarico: vengo a sapere che il regista Massimo Coppola, che doveva presenziare per ritirare il Premio Fedic, non è potuto essere tra noi a causa di un impegno con la trasmissione di Rai Tre “Parla Con Me”, dove era ospite per fare la necessaria promozione al suo film. Film che tra l’altro ho apprezzato moltissimo e su cui tornerò nelle righe successive.
La carrellata cinematografica parte, al solito, già della mattina. Questa volta non sono i giovani, ma i giovanissimi a far da protagonisti. Si comincia infatti con la visione di vari cortometraggi realizzati da classi della scuola primaria, non solo del territorio toscano ma di tutte le zone d’Italia, e si prosegue con la premiazione del concorso “Visioni di Futuro” Scuola Media Inferiore. Il tutto è stato introdotto dalla dottoressa Maria Teresa Caburosso, responsabile Fedic Scuola Nazionale.
Dopo bambini e ragazzi, è stata invece la volta della riproposizione della rassegna “Splendidi Cinquantenni”, a cui avevo già accennato nella puntata precedente. La parola “cinquantenni” non è riferita agli autori, ma ai film, tutti girati e prodotti nel 1961, ora riadattati in versione DVD. E anche nella giornata di oggi verranno proiettati altri quattro lavori appartenenti a questo gruppo.
Dopo una pausa pranzo, ecco che si riparte più o meno alle tre del pomeriggio, col consueto appuntamento con i film in gara per il Sessantaduesimo Concorso Nazionale Premio Marzocco. I lungometraggi sono sempre i primi ad essere proiettati e anche ieri non è stata fatta eccezione: Quarta Zona di Paolo Asaro è assai particolare, girato nei dintorni di Brescia in un finissimo bianco e nero. I dialoghi sono assenti e l’enfasi è tutta su suoni, rumori e fruscii. Le atmosfere e la fotografia strizzano un po’ l’occhio a registi quali Dreyer, Murnau, Tarkovskij, anche se l’autore ha ammesso, proprio dopo un mio intervento al riguardo, di non aver fatto alcun omaggio o riferimento a tali Maestri. Anche Francesco Calogero ha rincarato la dose, tirando in ballo il più recente The Road di Hillcoat, tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy, ma Paolo Asaro anche qui ha riaffermato il medesimo concetto. Nonostante ciò, qualche momento dopo, ha citato Tarkovskij tra le sue principali influenze. Un minuscolo momento di soddisfazione.
È poi la volta dei documentari. Si parte dal più lungo, Di tessuti e di altre storie diretto da Teresa Paoli, che mostra la crisi del tessile nella città di Prato, analizzando in maniera coerente ed attenta tutti i fattori che ruotano intorno a tale settore: artigiani, operai, imprenditori, senza tralasciare la politica e la fortissima presenza della comunità cinese, che molti additano spesso come principale capro espiatorio. Ma non è quello che fa il documentario di Teresa Paoli, che cerca cause ben più recondite, scavando nel passato e dando voce ai veterani dell’industria pratese.
Dopo i tessuti, è la volta di Cybertime realizzato da Giuseppe Leto e Stefano Greco. Si tratta di un serrato collage di fotogrammi condito da musica elettronica, che ha quasi l’impatto di un videoclip. Tra i vari omaggi presenti, quello a Bergman, Chaplin, Kubrick (al quale è dedicato il film) e con l’immancabile scena “ho visto cose che voi…” di Rutger Hauer direttamente da Blade Runner.
Il tocco di Re Mida di Rossana Molinatti viaggia invece fino al confine tra Burkina Faso e Nigeria, per illustrarci il lavoro delle donne nell’estrazione dell’oro. Non c’è nessuna spiegazione, nessuna voce fuori campo, solo i rumori di questo sfiancante mestiere e le voci delle persone. E ovviamente, bellissime immagini.
Non possono mancare i cortometraggi, che hanno riservato più di una sorpresa. Diari d’autunno di Ruggero Cilli, realizzato con una classe Terza Media torinese, riguarda varie storie di amore, droga, emarginazione e piccola delinquenza che si intrecciano attraverso le voci dei ragazzi. Le loro parole, fuori campo, espongono pensieri e angosce, sotto forma, appunto, di diario.
Sono sempre i ragazzi a fare da protagonisti in Innocenze perdute di Francesco Giusiani, cortometraggio il cui soggetto avrebbe potuto essere di Niccolò Ammaniti, per via delle analogie tematiche riscontrabili. Siamo in un campetto, di fronte ad una chiesa e dei ragazzi stanno giocando a pallone. Ad un certo punto, uno di loro subisce un fallo. Cade, ma non si rialza. Tutti lo credono morto e probabilmente lo è. Loro, chiamati dal prete per la messa, nascondono il corpo, per poi tornare lì sul luogo successivamente. Viene inquadrata la mano del piccoletto dato per defunto, che si muove. A questo punto lo spettatore capisce che forse ce l’ha fatta, ma i suoi amici non ne sono al corrente. Infatti, per mezzo d’una carriola, lo portano al fiume e buttano il cadavere in acqua, assieme al pallone, da tutti firmato.
Ci spostiamo su territori più grotteschi, divertenti, parodistici con Il Garibaldi senza barba di Nicola Piovesan, surreale messa in scena, tra flashback e salti spazio – temporali, di una rapina ad opera di alcuni balordi. Ovviamente le cose non vanno come dovrebbero, e la situazione si fa complicata e rocambolesca. Il corto omaggia e cita Le Iene di Tarantino, ma non solo: nella cattiveria di fondo, nella caratterizzazione dei personaggi e nelle atmosfere, ricorda molto i Fratelli Coen. La preparazione della rapina un po’ rimanda al Kubrick di Rapina a mano armata. Un film interessantissimo, che onestamente avrei voglia di rivedere.
Come già detto più volte, il tema del lavoro è senz’altro uno dei più importanti e di rilievo in questa edizione del Fedic e anche Risorse umane, fresche di giornata di Marco Giallonardi, affronta il l’occupazione giovanile, in maniere non troppo distaccata dalla realtà, soffermandosi in particolar modo sul dopo – laurea, poiché ormai pare ovvio che laureato sia sinonimo di disoccupato.
Il calabrone è quell’insetto che ha un peso troppo grande e ali troppo piccole per poter volare. Ma lui non lo sa, ed è per questo che ci riesce comunque. Questo sta alla base di La leggenda del calabrone, sulla tragedia di un ragazzo che perde l’uso delle gambe dopo esser stato investito da un auto. Un film molto significativo, commovente, per niente retorico.
Conclude la serie dei corti Lo scherzo delle Pere Rock di Valerio Comparini, un film di sculture animate, dove le protagoniste sono le pere. La pera soprano è morta, e in una chiesa viene fatta la veglia col sottofondo di musica lirica. Intanto, proprio lì fuori, una rock band di pere sta suonando rumorosamente. La pera dentro la cappella esce e spara perché infastidita dalla musica rock, ma accidentalmente uccide un venditore ambulante, rappresentato da una pera nera. A rimetterci, sono, purtroppo, sempre i soliti disgraziati.
Dopo le proiezioni, siedono intorno accanto a Francesco Calogero Rossana Molinatti, Francesco Giusiani, Valerio Comparini e Paolo Asaro per rispondere alle domande del direttore artistico e dei presenti in sala.
Nello spazio “Non è un paese per lavoratori” è stato proiettato Parole sante, una docufiction del 2007 del celebre autore e attore teatrale Ascanio Celestini. L’attore incontra vari precari che hanno lavorato in un grande call center, e viene messo in mezzo il problema della flessibilità. Il film denuncia lo sfruttamento, i bassissimi salari, la mancanza di tutela che questi lavoratori subiscono sulla loro pelle.
Alle ora ventidue circa, prima di Hai paura del buio di Massimo Coppola, c’è stata la proiezione del corto Vita da cani del sedicenne Maurilio Forestieri, vincitore del Concorso CGIL “I giovani e il lavoro”. Il giovanissimo autore siciliano, con grande maturità, gira un film che ha in sé tutte le tematiche del lavoro nero e dello sfruttamento della gioventù, facendo anche ricorso al meta cinema. Il ragazzo viene chiamato lì a dire due parole ed ecco che le luci si spengono ancora: comincia il film di Massimo Coppola. Anche questa pellicola, è uno spaccato sull’occupazione giovanile e sull’immigrazione. Protagoniste, una ragazza rumena appena giunta in Italia e una giovane operaia italiana. Il taglio del lungometraggio ha un che di neorealista, ed oltre ad abbracciare benissimo tali problematiche, Coppola inserisce vari rimandi musicali che non potevano essere assenti in un suo film. A cominciare dal titolo, che cita l’omonimo disco degli Afterhours, in questi fotogrammi vi sono moltissimi brani dei Joy Division, uno di Pj Harvey, e in più la ragazza indossa una maglietta dei Battles, presenti anch’essi con una canzone.
Incontrare Coppola, una sorta di idolo adolescenziale da quando lavorava per Mtv, sarebbe stato senz’altro stimolante, anche solo per avere l’occasione di scambiarci due chiacchiere. Spero in altre occasioni, ma la vedo molto dura.
Questa sera sarà presente uno dei grandi maestri del cinema italiano: Giuliano Montaldo. Una presenza davvero importantissima, da non lasciarsi sfuggire.
A domani, col resoconto del venerdì. Ciao.
a cura di Marco Renzi